In pillole
Nell'aula deserta della Camera era rimasto con Pajetta un solo deputato democristiano il quale, imperterrito, continuava a parlare da oltre un'ora. A un certo punto Pajetta si alzò dal suo scranno e si avviò verso l'uscita. Prima di varcare la soglia della porta si fermò e rivolgendosi all'oratore disse ad alta voce: "Quando hai finito spegni la luce"
Craxi ciese pubblicamente "la mia testa". Ero colpevole di essermi rivolto alla magistratura di fronte a una precisa denuncia di presunti fatti illeciti. "Il sindaco Novelli - disse Craxi - ha spezzato il rapporto di fiducia con il nostro partito. Se i compagni comunisti vogliono proseguire l'alleanza con noi scelgano un altro sindaco"
Quel mattino nel Transatlantico di Montecitorio chiesi a D'Alema cosa c'era di vero nella singolare voce che lo faceva presidente della Bicamerale per le riforme istituzionali, aggiungendo: "Non ti farai mica incastrare?". Lui mi rispose con tono saccente: "Perché, saresti contrario? Sei il solito massimalista, scarso di cultura di governo. A te, piemontese, Cavour non ha insegnato niente"
Gorbaciov, mio coetaneo, lo avevo conosciuto quarantenne. Era allora un dirigente del Pcus di seconda fila. Voleva sapere de rapporti tra noi comunisti e il mondo cattolico: delle gerarchie vaticane ai parroci delle città e delle campagne; del ruolo del sindacato nei luoghi di lavoro. Ma soprattutto voleva capire cosa intendevamo per "via italiana al socialismo"