Libri di Giuseppe Governale
Radici di mafia
Dai bravi manzoniani ai picciotti dei Florio
di Giuseppe Governale editore: Zolfo Editore
pagine: 232
Don Carlos d'Aragon, il governatore di Milano che nel 1583 diramò le prime "gride" contro i bravi, era di Castelvetrano, come Matteo Messina Denaro. Don Abbondio, il curato de I promessi sposi che si piega alla prepotenza, somiglia per ignavia a padre Pirrone, consigliere spirituale del principe di Salina ne Il Gattopardo. E ancora: Lucia Mondella, col suo matrimonio che "non s'ha da fare", è un'ideale consorella di Franca Viola, la ragazza che ad Alcamo, nel 1965, rifiutò il matrimonio "riparatore" dopo il rapimento da parte di un rampollo di famiglia mafiosa.
Fra Settecento e Duemila, così come fra nord e sud, è un gioco di rimandi e reiterazioni che fanno dubitare delle origini della mafia. Esempi di proto-mafia apparsi nel Settecento in Lombardia vennero stroncati dalle riforme di Maria Teresa d'Austria. Nel mezzogiorno, invece, quei fenomeni si sono andati consolidando, fino a trasformarsi nelle mafie che conosciamo dall'Ottocento.
L'origine è un terreno fertile: la debolezza degli Stati – spagnolo, borbonico e italiano – incapaci di offrire punti di riferimento affidabili alle popolazioni del meridione. È nel vuoto dello Stato che si insinua la mafia, che ha storicamente occupato tutto lo spazio che le si lasciava a disposizione. Difficile dire se sia davvero nata in Sicilia: certo è che in Sicilia è stata lasciata prosperare.
Questo libro è una ricostruzione rigorosa della surroga che lo Stato ha concesso alla criminalità organizzata nelle regioni del sud. Una delega non scritta che ha permesso alla mafia di avvelenare persino un'epoca apparentemente felice come quella dei Florio. E ancora, fino a oggi.
Roberto Alajmo
editore: Zolfo Editore
pagine: 232
Don Carlos d'Aragon, il governatore di Milano che nel 1583 diramò le prime "gride" contro i bravi, era di Castelvetrano, come Matteo Messina Denaro. Don Abbondio, il curato de I promessi sposi che si piega alla prepotenza, somiglia per ignavia a padre Pirrone, consigliere spirituale del principe di Salina ne Il Gattopardo. E ancora: Lucia Mondella, col suo matrimonio che "non s'ha da fare", è un'ideale consorella di Franca Viola, la ragazza che ad Alcamo, nel 1965, rifiutò il matrimonio "riparatore" dopo il rapimento da parte di un rampollo di famiglia mafiosa.
Fra Settecento e Duemila, così come fra nord e sud, è un gioco di rimandi e reiterazioni che fanno dubitare delle origini della mafia. Esempi di proto-mafia apparsi nel Settecento in Lombardia vennero stroncati dalle riforme di Maria Teresa d'Austria. Nel mezzogiorno, invece, quei fenomeni si sono andati consolidando, fino a trasformarsi nelle mafie che conosciamo dall'Ottocento.
L'origine è un terreno fertile: la debolezza degli Stati – spagnolo, borbonico e italiano – incapaci di offrire punti di riferimento affidabili alle popolazioni del meridione. È nel vuoto dello Stato che si insinua la mafia, che ha storicamente occupato tutto lo spazio che le si lasciava a disposizione. Difficile dire se sia davvero nata in Sicilia: certo è che in Sicilia è stata lasciata prosperare.
Questo libro è una ricostruzione rigorosa della surroga che lo Stato ha concesso alla criminalità organizzata nelle regioni del sud. Una delega non scritta che ha permesso alla mafia di avvelenare persino un'epoca apparentemente felice come quella dei Florio. E ancora, fino a oggi.
Roberto Alajmo
Gli sbirri di Sciascia
Investigatori e letteratura, tra arbitrio e giustizia
di Giuseppe Governale editore: Zolfo Editore
pagine: 144
Gli "sbirri" di Leonardo Sciascia, figure costantemente in bilico lungo la sottile linea tra arbitrio e giustizia. Giuseppe Governale esplora, attraverso un'analisi dei romanzi dello scrittore siciliano, i conflitti tra istituzioni e società, tra leggi e criminalità, mettendo in risalto la tensione morale che anima l’azione e la vita degli investigatori. Ogni indagine si trasforma in una sfida esistenziale per i protagonisti, sospesi tra l'arroganza e la protervia di un Matteo Lo Vecchio ("sbirro" infame per antonomasia) e il desiderio di verità e la frustrazione di sentirsi soli nella loro missione di tanti altri, come il capitano Bellodi e l'ispettore Rogas, non eroi classici, ma uomini tormentati, costretti a navigare in un mare di silenzi e complicità, in un contesto in cui spesso le regole non scritte prevalgono sulla legge formale.
Le storie che ne derivano, dense di dubbi e coraggio, creano un racconto tanto intrigante quanto provocatorio. L'autore fa uso di una narrazione affascinante, che lascia intravedere la variegata umanità dei personaggi di Sciascia, molti dei quali ispirati dall’occasionale conoscenza del "capitano coraggioso" Renato Candida, un ufficiale che, forse anche inconsapevolmente, ha fornito allo scrittore di Racalmuto quei vagheggiamenti per interpretare le contraddizioni e le battaglie personali dei suoi investigatori. Come se una sorta di sliding door avesse indotto a scandagliare progressivamente, in chiave letteraria, il difficile rapporto tra il potere e chi è incaricato di esercitarlo. Soprattutto quando il confine tra legalità e ingiustizia diviene sfumato, perfino sfuggente.
editore: Zolfo Editore
pagine: 144
Gli "sbirri" di Leonardo Sciascia, figure costantemente in bilico lungo la sottile linea tra arbitrio e giustizia. Giuseppe Governale esplora, attraverso un'analisi dei romanzi dello scrittore siciliano, i conflitti tra istituzioni e società, tra leggi e criminalità, mettendo in risalto la tensione morale che anima l’azione e la vita degli investigatori. Ogni indagine si trasforma in una sfida esistenziale per i protagonisti, sospesi tra l'arroganza e la protervia di un Matteo Lo Vecchio ("sbirro" infame per antonomasia) e il desiderio di verità e la frustrazione di sentirsi soli nella loro missione di tanti altri, come il capitano Bellodi e l'ispettore Rogas, non eroi classici, ma uomini tormentati, costretti a navigare in un mare di silenzi e complicità, in un contesto in cui spesso le regole non scritte prevalgono sulla legge formale.
Le storie che ne derivano, dense di dubbi e coraggio, creano un racconto tanto intrigante quanto provocatorio. L'autore fa uso di una narrazione affascinante, che lascia intravedere la variegata umanità dei personaggi di Sciascia, molti dei quali ispirati dall’occasionale conoscenza del "capitano coraggioso" Renato Candida, un ufficiale che, forse anche inconsapevolmente, ha fornito allo scrittore di Racalmuto quei vagheggiamenti per interpretare le contraddizioni e le battaglie personali dei suoi investigatori. Come se una sorta di sliding door avesse indotto a scandagliare progressivamente, in chiave letteraria, il difficile rapporto tra il potere e chi è incaricato di esercitarlo. Soprattutto quando il confine tra legalità e ingiustizia diviene sfumato, perfino sfuggente.