Quei ragazzi dal sud che arrivati a Torino rimasero “spaesati”
Ricorda un po’ “I detective selvaggi” di Roberto Bolaño, ma l’intento è anche sociologico e antropologico. È una sorta di romanzo popolare — ma i personaggi sono tutti autentici — con il quale Enzo D’Antona, giornalista di lungo corso, già capo della redazione di Palermo, poi dell’ufficio centrale di Repubblica ed ex direttore del Piccolo di Trieste, cerca di dire qualche parola definitiva su un fenomeno, che sembra invece non finire mai, che a partire dagli anni Cinquanta ha travolto e sconvolto le vite di milioni di giovani del Sud Italia costretti a partire verso il ricco Nord in cerca di un lavoro, spesso uno qualsiasi, che è sempre meglio di niente. Il titolo del libro dà subito un’idea di quello che ci si deve aspettare: “Gli spaesati, cronache del nord terrone” (Zolfo Editore, euro 17). I protagonisti sono i ragazzi cresciuti in una palazzina popolare della città immaginaria di Iudeca che potrebbe essere Riesi, il paese d’origine dell’autore, in provincia di Caltanissetta, come qualunque altro della Sicilia profonda che dal dopoguerra ha cominciato a perdere la stragrande maggioranza dei suoi abitanti, costretti a una sorta di autodeportazione, a non meno di duemila km di distanza. D’Antona di questo esodo senza fine racconta la seconda ondata, quella cominciata negli anni Settanta, quando non partono più soltanto braccianti e contadini, ma giovani diplomati o laureati. «L’inizio dell’emigrazione borghese — scrive l’autore — Oggi la chiamerebbero anche fuga di cervelli... ma in quelle partenze c’era un che di obbligatorio, di inevitabile, era un destino che incombeva su di noi». [...]
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Gli spaesati
cronache del nord terrone
di Enzo D'Antona editore: Zolfo Editore
pagine: 200
“Noi saremo sempre spaesati. Noi non siamo partiti per vedere il mondo, siamo partiti perché avevamo bisogno di un lavoro.
In questi anni non siamo stati a casa nostra e non lo saremo mai perché questa casa non c’è più”
editore: Zolfo Editore
pagine: 200
“Noi saremo sempre spaesati. Noi non siamo partiti per vedere il mondo, siamo partiti perché avevamo bisogno di un lavoro.
In questi anni non siamo stati a casa nostra e non lo saremo mai perché questa casa non c’è più”
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