Erano gli anni tra piazza Fontana e Tangentopoli quando a lasciare l’Isola non erano più operai e contadini
Tutte le storie si portano addosso un odore. Quella, lunghissima e mai finita, dell’emigrazione siciliana si riconosce da un odore particolare che chiunque- ed è difficile trovare un meridionale nato prima degli aerei low cost e dell’abolizione del servizio di leva obbligatorio che non lo abbia fatto- sia salito almeno una volta su quei treni che risalgono la penisola e a bordo dei quali il viaggio non dura mai meno di 24 ore, avverte con un semplice sforzo di memoria. «Un miscuglio di olive, aglio e sudore, di pomodori secchi, bucce d’arancia e latrine e di formaggio che sta andando a male. E un altro odore, quello dello smarrimento di chi è salito su questo treno con il portafoglio vuoto e con l’incertezza e il timore di non farcela, di non essere all’altezza».
Sono quei treni ed è quell’odore il filo che lega le storie dei protagonisti de “Gli spaesati- cronache del nord terrone”, romanzo, ma non solo romanzo, di Enzo D’Antona edito da Zolfo che racconta un pezzo dell’epopea della grande migrazione che, a partire dalla fine dell’800, lungo tutto il secolo ventesimo e perfino in questo secolo dei non luoghi, ha sradicato milioni di siciliani spargendoli per i quattro angoli del mondo. In particolare, Enzo D’Antona- giornalista d’inchiesta e poi guida di redazioni in mezza Italia, compresa quella di Repubblica Palermo dove ha lasciato semi fecondi di buon giornalismo- si fa carico di raccontare un pezzetto di questa ultracentenaria storia. Ma non è un pezzetto qualunque.
Sono gli anni che vanno pressappoco dalla strage di piazza Fontana a Milano all’inizio di Tangentopoli (ancora una volta a Milano) e sono gli anni in cui dalla Sicilia non partono più i contadini poveri e analfabeti e nemmeno il sottoproletariato necessario a garantire braccia e sudore per il boom della fine degli anni Cinquanta, ma giovani che hanno studiato grazie all’istruzione di massa e che, oltre all’incancellabile sentimento della terra («La Sicilia dentro di noi non finirà mai»), si portano appressole culture nuove, fatte di musica e di libri, che sono arrivate perfino nell’entroterra siciliano anticipando il mondo globalizzato. [...]
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Sono quei treni ed è quell’odore il filo che lega le storie dei protagonisti de “Gli spaesati- cronache del nord terrone”, romanzo, ma non solo romanzo, di Enzo D’Antona edito da Zolfo che racconta un pezzo dell’epopea della grande migrazione che, a partire dalla fine dell’800, lungo tutto il secolo ventesimo e perfino in questo secolo dei non luoghi, ha sradicato milioni di siciliani spargendoli per i quattro angoli del mondo. In particolare, Enzo D’Antona- giornalista d’inchiesta e poi guida di redazioni in mezza Italia, compresa quella di Repubblica Palermo dove ha lasciato semi fecondi di buon giornalismo- si fa carico di raccontare un pezzetto di questa ultracentenaria storia. Ma non è un pezzetto qualunque.
Sono gli anni che vanno pressappoco dalla strage di piazza Fontana a Milano all’inizio di Tangentopoli (ancora una volta a Milano) e sono gli anni in cui dalla Sicilia non partono più i contadini poveri e analfabeti e nemmeno il sottoproletariato necessario a garantire braccia e sudore per il boom della fine degli anni Cinquanta, ma giovani che hanno studiato grazie all’istruzione di massa e che, oltre all’incancellabile sentimento della terra («La Sicilia dentro di noi non finirà mai»), si portano appressole culture nuove, fatte di musica e di libri, che sono arrivate perfino nell’entroterra siciliano anticipando il mondo globalizzato. [...]
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Gli spaesati
cronache del nord terrone
di Enzo D'Antona editore: Zolfo Editore
pagine: 200
“Noi saremo sempre spaesati. Noi non siamo partiti per vedere il mondo, siamo partiti perché avevamo bisogno di un lavoro.
In questi anni non siamo stati a casa nostra e non lo saremo mai perché questa casa non c’è più”
editore: Zolfo Editore
pagine: 200
“Noi saremo sempre spaesati. Noi non siamo partiti per vedere il mondo, siamo partiti perché avevamo bisogno di un lavoro.
In questi anni non siamo stati a casa nostra e non lo saremo mai perché questa casa non c’è più”
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